Contro le tenebre Socrate e Spinoza

Gazzetta di Parma

Il tema della grandezza umana attraverso figure-chiave del pensiero viste come guide per i problemi di oggi

In una democrazia che non onori la vita più alta dell’intelletto e non si faccia guidare da essa, la demagogia ha campo libero e la vita pubblica viene abbassata al livello degli ignoranti e degli incolti invece di istruire la popolazione e permettere alla società di elevarsi». Questa aurea sentenza di Thomas Mann è il cardine intorno a cui ruota il saggio «La nobiltà dello spirito – Elogio di una virtù perduta» di Rob Riemen (Rizzoli, pagg. 192, euro16). Libro non solo aureo, ma travolgente per quel suo lanciare un appello, commovente e meditato insieme, affinché ognuno si adopri a combattere quelle forze – terrore, fanatismo e ignoranza – che abbrutiscono l’umanità. Saggista e filosofo, Riemen è il fondatore del «Nexus Institute», il prestigioso centro che organizza ad Amsterdam convegni sui valori della cultura dell’Occi – dente chiamando a raccolta il fior fiore dell’«intelligentsia» internazionale. Dalla constatazione che il concetto di nobiltà di spirito gode di scarso credito in età come la nostra nella quale la dignità e la libertà umane sono assediate da riserve inesauribili d’intol – leranza e di tenebre scaturisce la sua appassionata difesa degli ideali dell’umanesimo, «il solo correttivo» della storia umana e l’antidoto alla caduta nella barbarie. «Senza la nobiltà di spirito la cultura svanisce», ha detto Riemen presentando il libro all’Isti – tuto Italiano di Studi storici di Napoli. Apre la narrazione un incontro – avvenuto una sera del novembre 2001 al River Café di Manhattan, quasi due mesi dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle – fra lo stesso Riemen, Elisabeth Mann Borgese, la figlia dello scrittore tedesco, e un suo vecchio amico, Joseph Goodman, musicista ebreo. Durante il colloquio Elisabeth esprime la convinzione che ormai l’America sia un Paese assai meno libero di quello che aveva accolto lei e i suoi genitori fuggiti dalla Germania nazista. Al che Goodman estrae alcuni spartiti sulla cui prima pagina si legge: «Nobiltà di spirito». E’ il testo di una «Cantata sinfonica» tratta da una lirica di «Foglie d’erba» di Walt Whitman: richiama il motivo che Mann costantemente evocò per una vita improntata alle grandi tradizioni culturali della borghesia. Facendo propria la definizione di Whitman, secondo il quale la nobiltà di spirito è «l’arte di diventare esseri umani» nel pieno rispetto della propria e altrui libertà, Riemen ripercorre a ritroso il millenario cammino della storia dell’uma – nità; attraverso un linguaggio di rara forza evocativa trascorre il pensiero di una pleiade di intelletti che, dall’Ate – ne di Pericle all’Europa dell’Olocausto e del Gulag, rifiutarono di scendere a compromessi con i principi ai quali informarono le loro esistenze. Così l’ateniese Socrate che preferì la morte alla rinuncia ad indagare, Baruch Spinoza, espulso dalla comunità ebraica di Amsterdam per avere rifiutato il potere dei rabbini e quello del denaro per poter «vivere per la libertà», Leone Ginzburg, l’intellettuale assassinato dal fascismo che alla moglie, la scrittrice Natalia Ginzburg, scrisse «sii coraggiosa» mentre stava per essere condotto a morte, ma soprattutto Thomas Mann, che ispirò la propria condotta al principio goethiano: «Tutte le norme e le leggi etiche possono essere ricondotte a una sola cosa, la verità». Riemen cala questi spiriti nelle contraddizioni della nostra epoca e chiede loro risposte intorno a enigmi senza tempo: quale è la buona società? Perché la cultura? Perché l’arte? Qual è la responsabilità dell’in – tellettuale? E – per venire all’oggi – perché il culto della morte dei fondamentalisti? Ciò che accomuna quei grandi dello Spirito è, per l’autore, l’aver consacrato le loro esistenze alla ricerca di una libertà che non fosse sopruso, di una società che fosse educata non al culto del potere ma alla coscienza del diritto, di una saggezza che non fosse sterile erudizione ma ricerca dell’assoluto, di un coraggio che non fosse supponenza ma volontà di lottare per le aspirazioni sempreverdi dell’umanesimo. Se per Mann ogni forma di totalitarismo è l’antitesi del pensiero europeo, giacché ad esserne calpestati sono proprio i valori dell’umanesimo, l’unica forza in grado di conciliare la storia e la metafisica, l’Illuminismo e il Romanticismo, la ragione e la mistica, prevale invece, al presente, una democrazia fondata sull’egualitarismo al ribasso dell’istruzione e sul dominio incontrastato dei mass media, che ottundono le facoltà critiche, a partire dalla tv dove a far audience sono i fracassi. Riemen ha accenti di vigorosa polemica verso la corsa all’arricchimento senza scrupoli, al divertimento mirato all’atrofia morale e intellettuale, ma allo stesso modo non è indulgente verso gli intellettuali che subordinano lo spirito alla politica; ad esempio, Susan Sontag e Norman Mailer che dopo l’11 settembre hanno in certo modo giustificato le ragioni degli attentatori piuttosto che quelle delle vittime. In questo viaggio spirituale alle fonti dei valori autentici – in primo luogo verità, libertà e dignità – che occorre sostenere affinché la civiltà possa rifiorire, il faro per un mondo libero dalla barbarie è, per Riemen, Thomas Mann. Di lui scrive: «Se umanità, verità, eternità sono parole troppo impegnative, possiamo forse formulare così il principio alla base dell’esigenza di questo artista: essere fedeli alla propria lingua. Grazie ad essa l’uomo può pensare, perché il pensiero esiste in virtù dell’espressione. La lingua ci permette di nominare e di conoscere il mondo. Con essa ci facciamo conoscere, grazie ad essa esistono preghiere, significato e poesia».

di Sergio Caroli